ROBERTO BRIGO, IL RITORNO DI UN CAMPIONE

Brigo
ROBERTO BRIGO – VINCITORE ASSOLUTO DELLA TAPPA PAVESE DEL GIRO D’ITALIA DI HANDBIKE

E’ il vincitore assoluto della IV tappa del GIRO. Roberto Brigo, in questo GIRO, per la seconda volta indossa la Maglia Rosa. «Ed è come fosse sempre la prima volta», dice emozionato e avendo fra le mani il Terzo Trofeo Città di Pavia. Per Brigo -campione del Mondo 2007 in squadra con Paolo Cecchetto, Vittorio Podestà e Roland Ruepp- il GIRO rappresenta il suo grande ritorno alle competizioni.

SALITE E DISCESE. La gara è stata avvincente con un circuito adatto alle mie caratteristiche. La presenza di salite e discese mi permette di avere una strategia per poi cambiarla in base all’andamento, di dosare forza e velocità. Insomma, in due parole: mi diverte.

IL GIRO. Rappresenta una grande possibilità per me. Ho avuto problemi di salute negli ultimi anni che mi hanno costretto a lasciare le competizioni perché non potevo allenarmi. IL GIRO è davvero una bella manifestazione. Trovi atleti con cui ti puoi confrontare e quindi misurare la tua preparazione. Anche in questa quarta tappa eravamo circa un centinaio.

LE DIFFERENZE. Al GIRO consoci tanti ragazzi e ragazze con diverse disabilità. Conosci le loro storie, quelle delle loro famiglie. L’atleta, quello vero, rispetta l’avversario. Il GIRO ti insegna ad averne di più. Io, a parte la paraplegia, ho un buon tono muscolare, ma ci sono handbiker con malattie neurologiche, come la sclerosi ad esempio, che hanno poche forze, ma pedalano, non si fermano. Al GIRO si gareggia insieme –con partenze separate, ovviamente- e capisci che c’è spazio per tutti.

IL RISPETTO. E poi apprezzi il loro sforzo. Chi fa handbike sa che fatiche ci sono dietro. Gli spettatori ci vedono sfrecciare a 50 km/ora. Ma, come in tutti gli sport, ci sono tanti passaggi che portano a quel risultato. E poi tutto il resto che va oltre alla preparazione agonistica. Io dalla carrozzina scendo in sella all’handbike, in maniera autonoma e quasi indolore. Ma non per tutti è così. Lo stesso vale per il momento in cui si deve lasciare l’handbike e risalire sulla carrozzina. Il loro essere atleta merita molto rispetto.

HANDBIKE. L’handbike è uno sport che contribuisce al benessere psicofisico delle persone. Io l’ho testato personalmente. Quando ho cominciato, ero… diciamo molto triste. Avevo poco più di vent’anni e non sapevo proprio come sarebbe stato il mio futuro. Qualche anno prima, nel 1986, correvo come ciclista normodotato, ero un giovane che aveva voglia di farsi notare, di diventare un professionista. Una caduta di gruppo e, a differenza di altri, non mi rialzo perchè cadendo batto malamente la schiena procurandomi la lesione midollare che mi ha paralizzato.

LA PRIMA VOLTA. Ho provato l’handbike nel 2003, non ce n’erano molte in Italia. Sono passati solo dieci anni e oggi le cose sono molto cambiate in una maniera non immaginabile al tempo: ci sono molti praticanti di diverse disabilità, ci sono handbike adattabili a diverse esigenze, c’è chi pedala sdraiato, che seduto, chi in ginocchio, ci sono comandi facilitati.

QUESTIONE DI RUOTE. Sono passato all’handbike, dopo essere diventato esperto di corse in carrozzina. In attesa di conoscere l’handbike, nel 1992, dopo 5 anni di riabilitazione, lo sport premeva dentro di me per uscire di nuovo e far parte della mia vita. Così grazie a Ruggero Vilnai ho iniziato a correre in carrozzina. Con l’handbike sono riuscito a tornare nel mondo del ciclismo realizzando, anche se in maniera diversa, il sogno che avevo da bambino.